Sembra quasi uno specchio sulla realtà contemporanea, e invece la pittura di Edward Hopper risale alla prima metà del Novecento. L’artista americano, protagonista di quel filone del realismo che guarda alla società venuta fuori dalla prima modernità, mette al centro della sua pittura il mondo dei silenzi e delle fratture interiori che caratterizzano la sua epoca. Dietro quelle che potrebbero sembrare mere rappresentazioni di luoghi e situazioni, Hopper propone una riflessione sulla nuova condizione dell’uomo nella società industrializzata degli inizi del secolo scorso.

Quello che emerge è un panorama di desolante alienazione, di isolamento, di mancanza di comunicazione. Protagonisti delle sue opere sono, infatti, strade metropolitane stranamente deserte, locali semivuoti, personaggi fra i quali non esiste comunicazione; ognuno ha lo sguardo perso nel vuoto, ognuno è solo con se stesso.

Gli scenari della sua pittura sono stati fonte di ispirazione per il cinema; molti, infatti i film in cui compaiono esplicite citazioni dei lavori di Hopper; proprio al rapporto tra la realtà cinematografica e l’opera dell’artista è dedicata una rassegna promossa dal Alphaville Cineclub di Roma, dal 3 al 7 Febbraio, occasione per un approfondimento in termini più generali sui rapporti che intercorrono tra le diverse forme di arte.

Questo evento precede la grande mostra interamente dedicata alla produzione di Hopper, che si aprirà il 16 Febbraio al Museo Fondazione Roma e si protrarrà fino al 13 Giugno.

Con questi appuntamenti la capitale rende omaggio alla pittura dell’artista, la cui indagine sui risvolti psicologici determinati dalle dinamiche messe in atto dalla modernità, offre interessanti spunti di riflessione sulla società contemporanea.

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